Fine del processo:i prigionieri politici sfidano lo sguardo glaciale di Marchena

Vilaweb.cat – Josep Casulleras Nualart –  12.06.2019

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Cuixart a Marchena: “Lo faremo di nuovo”

La freddezza di Manuel Marchena come segno premonitore. Dopo un intero pomeriggio con un’intensità emotiva e politica elevatissima, dovuta alle storiche dichiarazioni finali con le ultime parole degli accusati nel processo, il presidente della camera della Corte Suprema (“Tribunal Supremo”), dove ha avuto luogo durante gli ultimi quattro mesi il processo contro l’indipendentismo, ha preso la parola e con un fil di voce ha detto: “Grazie mille a tutti, “visto para sentencia”, cioè,  in attesa di sentenza. Il gelo di due secondi del magistrato ci ha fatto tornare tutti al punto di partenza, ci ha fatto riportare a terra i pensieri innalzati dai discorsi appena pronunciati e ci ha ricordato che, dopo il processo politico, incombe la minaccia di 25 anni di carcere per Oriol Junqueras; 17 anni per Carme Forcadell, Jordi Cuixart e Jordi Sànchez; 16 per Jordi Turull, Josep Rull, Raül Romeva, Joaquim Forn e Dolors Bassa; e 7 anni per Carles Mundó, Meritxell Borràs e Santi Vila.

Nulla è cambiato. Il processo è finito com’è cominciato, con delle autorità nella sala, con i corridoi pieni di gente, con riprese in diretta da parte di televisioni catalane e spagnole, e con una certa (scarsa) copertura dei media internazionali. Ma qualcosa è cambiato nella sala, qualcosa che non c’era lo scorso 12 febbraio: l’emozione da una parte e gli sguardi imbarazzati e scomodi dall’altra.

 

Javier Zaragoza, il pubblico ministero più aggressivo, che la scorsa settimana parlò di colpo di stato, iniziatore nel 2015 e ora concludente del processo generale contro l’indipendentismo, non c’era in queste ultime ore. Nemmeno Consuelo Madrigal, donna di fiducia del Partito Popolare. C’erano Fidel Cadena e Jaime Moreno. Loro hanno ricevuto gli attacchi che arrivavano dalla sedia dei testimoni, abilitata per le ultime parole degli imputati, che hanno chiesto uno dopo l’altro, come fosse possibile che, dopo tutto quello che si è potuto vedere in questi mesi, potessero mantenere le accuse. A malapena Cadena e Moreno riuscivano a reggere lo sguardo: occhi bassi, con la faccia rigida e senza muoversi neanche un millimetro dalla sedia.

 

Gli imputati potevano esprimersi senza essere interrotti da Marchena, senza che giudicasse impertinenti le loro dichiarazioni, a differenza dell’inizio del processo. Queste asserzioni finali raramente hanno validità legale, e non influenzano le deliberazioni o le sentenze dei giudici; questa è l’idea che ha trasmesso il presidente del tribunale, ascoltando tutti gli interventi con attenzione, con il mento appoggiato nel palmo della mano e gli occhi semichiusi, come facendo fatica a capire, con un certo atteggiamento altero, come chi guarda dall’alto in basso. Tutti i magistrati attenti, con sguardo serio, alcuni prendendo appunti e Marchena, soddisfatto di aver tenuto sotto controllo la situazione in ogni momento… e a Madrid alcuni già vogliono dedicargli una strada.

Junqueras ha parlato di nuovo, ‘per la seconda e ultima volta in questo processo’. E’ stato il primo e, sorprendentemente, il più breve.  Ha voluto essere discreto, in un discorso di 4 scarsi minuti iniziando con una citazione del Canzoniere di Petrarca, invitando ad ascoltare, ricordando che votare o difendere la Repubblica non può essere un reato e dicendo che il conflitto deve uscire dall’ambito giudiziario e deve essere risolto politicamente.

Questa volta si è seduto nei banchi centrali della sala, quelli degli imputati, dopo essere stato per quattro mesi seduto dietro al suo avvocato, Andreu Van den Eynde.

 

Romeva ha parlato subito dopo, ed è stato molto più duro rivolgendosi ai pubblici ministeri, accusandoli di esagerare e distorcere per punire e castigare una ideologia. Ha terminato offrendo la mano aperta, come aveva fatto il suo avvocato, dando un giro strategico finale di concordia, per dire al tribunale che ha nelle sue mani la soluzione o la perpetuazione del problema.

 

‘Qui non si perseguitano le idee politiche…è stato detto. Ma io ne dubito”, ha detto Joaquim Forn, uno degli esponenti più chiari, più letterali, di questa persecuzione. Perché, come ci ha ricordato, il giudice istruttore Pablo Llarena arrivò a scrivere in un rapporto di febbraio del 2018 che non lo lasciava in libertà provvisoria, malgrado la rinuncia all’attività politica, perché la sua ideologia indipendentista, il suo desiderio di una Catalogna indipendente, non era svanito. Forn ha messo sul tavolo la parte più vergognosa di un processo stigmatizzando Marchena e tutto il tribunale. ‘Ma dopo 19 mesi di carcere, i miei ideali restano fermi’, ha ribadito.

 

Ecco una costante negli interventi che seguono, a cominciare dal vibrante e commovente discorso di Jordi Turull: tutta questa repressione non è servita a nulla, perché l’indipendenza continua a vincere le elezioni e perché i principali imputati di questo processo, pur sapendo che possono essere condannati a molti anni di carcere, mantengono la determinazione a lavorare affinché la Catalogna sia indipendente. “Non riuscirete a troncare la volontà di decidere del popolo catalano. La società catalana è adulta”, ha detto Jordi Turull. È stato il primo a sostenere buona parte del discorso guardando i pubblici ministeri, che non sapevano dove posare lo sguardo. ‘Volete una punizione a tutti i costi. Fa paura sentirvi dire che un referendum è un reato pur essendo stato depenalizzato. Avete una assoluta e imbarazzante mancanza di conoscenza del funzionamento del governo della Generalitat e del Parlamento della Catalogna …” Finché la sua voce non si è spezzata dall’emozione, quando ha voluto esprimere gratitudine verso la sua famiglia, la moglie e le figlie. “La mia famiglia è il miglior regalo che mi ha fatto la vita … Loro sanno quello che voglio dire.” L’impatto personale e familiare di queste persone che da trecento, quattrocento, cinquecento, seicento giorni sono in carcere preventivo si è fatto sentire nella sala, di fronte al disagio permanente degli accusatori, alla posa ieratica di Marchena e alle lacrime di alcuni avvocati che, in alcuni casi, sono anche amici degli imputati.

 

Impatto famigliare che anche Josep Rull ha evidenziato: “Avete deciso che non possa veder crescere i miei due figli di 4 e 10 anni, ma non mi impedirete di lasciare loro la mia testimonianza e impegno per la lotta democratica, appassionata, perché un domani possano vivere in un paese migliore e libero, in una repubblica catalana in cui nessuno possa essere imprigionato per le proprie idee. Ce la faremo. Dopo di noi, ne arriveranno molti altri”.

 

Siamo rimasti colpiti anche nel vedere Dolors Bassa, insegnante, accusata di ribellione per uno sciopero generale in collaborazione con i sindacati e i datori di lavoro. “Sono innocente, lo dico con voce chiara”, osservando da vicino Marchena. “Non vorrei che la mia nipotina di quattro anni sentisse parlare di un processo contro la Catalogna leggendo i libri di storia. Questo dipende dalla vostra sentenza. La sentenza potrebbe essere la soluzione. Non si tratta della mia libertà, ma della libertà di molte persone”.

 

I magistrati sono stati costantemente e direttamente interpellati. Anche da Jordi Sànchez: “Penso che voi non possiate risolvere il problema, perché si tratta di una questione politica. Ma avete la responsabilità di non aggravare la crisi politica. Non vorrei essere al posto vostro per rispondere a ciò che si è visto qui in questi mesi.”

 

La maggior parte aveva con sé un foglio con delle note, anche Meritxell Borras, Santi Vila e Carles Mundò, i tre imputati dell’ultima fila che sono in libertà provvisoria, hanno chiesto al giudice di fermare la repressione e di non peggiorare il conflitto politico.

 

Invece Carme Forcadell non ha avuto bisogno di note per fare un intervento impressionante, lasciando cadere come pietre, le parole di condanna contro la sua ingiusta situazione, guardando senza battere ciglio ora Marchena ora i pubblici ministeri, avvisandoli che loro sanno come lei stessa sa, che è sotto processo per essere chi è e non per quello che fece. Lei sotto processo qui, mentre gli altri membri del consiglio del parlamento catalano sono sotto processo nel Tribunale di Giustizia della Catalogna per disobbedienza. “In questo processo, è stato fatto uno sforzo straordinario per rendermi visibile, in modo che il mio nome fosse evidenziato il maggior numero di volte possibile, per differenziarmi dai miei colleghi, per incriminarmi senza alcuna prova. Sembra che questo processo non sia servito a nulla; i testimoni sono passati, e non è servito a nulla, le accuse hanno avuto l’opportunità di cambiare il racconto, e non l’hanno fatto. Avevano la forte volontà di incriminarmi”.

 

Cuixart a Marchena: “Lo faremo di nuovo”
E Cuixart, come ha fatto il 12 febbraio scorso, è andato oltre, con un discorso intenso e appassionato. Ed è stato in grado di condannare l’atteggiamento di Filippo VI il giorno 3 ottobre, questa volta senza interruzioni di Marchena. Le parole di Cuixart hanno infastidito i magistrati: “Il discorso del re spagnolo è stato di grande profondità? Sì, sì, e un’enorme delusione per molta gente, perché ha dato sostegno all’impunità della brutalità della polizia. Le immagini erano molto potenti e fu un’opportunità che il capo dello stato perse …”, ha affermato il presidente di Omnium. “Noi non rinunciamo allo status di prigionieri politici. Questo è un processo alla democrazia. Quello che facciamo è esercitare diritti fondamentali.” Cuixart ha parlato in modo rapido e chiaro, ora parlando con i pubblici ministeri:”Vi ascoltavo; dicevate che io inneggiavo alla mobilitazione permanente. È vero! Certo che l’ho fatto! E ho l’obbligo di farlo di nuovo, una mobilitazione permanente, civica, pacifica … “Sì, signori accusatori, mobilitazione permanente e diritto di protestare. Volete che la gente smetta di protestare e noi non smetteremo di protestare. Siamo costretti a continuare a protestare perché anche i nostri figli possano protestare”.

E, infine, ha guardato Marchena per ricordargli il torto che aveva fatto a Marina Garcés, docente universitaria, più volte umiliata e interrrotta dal giudice Marchena durante la sua testimonianza. E per dire questo: “La mia priorità non è uscire dal carcere. Ci troviamo in una causa collettiva e dalla decisione di questa corte ne trarremo una lezione, ma voglio dirvi che la mia priorità è di continuare a combattere per la risoluzione del conflitto. Sono convinto che lo faremo di nuovo“.

 

Quest’ultima frase riassume il significato di questi ultimi discorsi; la corte ha ascoltato ma non ne terrà conto, perché la decisione è già quasi sicuramente presa. Ora è il momento di redigere e culminare la punizione. «Visto para sentencia», ha detto Marchena con voce fredda e tremante. ‘Potete sgomberare la sala’.

 

* traduzione  Àngels Fita-AncItalia

 

https://www.vilaweb.cat/noticies/diari-judici-politic-josep-casulleras-presos-discursos-finals/

 

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