Dei senatori francesi …

«Nellottobre del 2017 no cera nessun senatore francese che dubitasse che la Spagna fosse una democrazia. Ora quarantuno di essi sottoscrivono pubblicamente un documento, ben sapendo che ciò creerà loro problemi, ma incapaci di continuare a tacere».
Di  Vicent Partal    VilaWeb.cat  25.03.2019

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il senato francese

In questi giorni c’è molto nervosismo. Si sente nell’aria. Credo che ciò sia dovuto soprattutto alla combinazione di processo ed elezioni, sebbene io abbia l’impressione che questo non spieghi tutto.
Per quanto concerne il processo, e questa sequela irritante di menzogne e mentitori, ieri Joan Ramon Resina ha spiegato in modo egregio il meccanismo perverso che vogliono attribuirci (quello della pretesa violenza esercitata dai catalani in occasione del referendum, ndt). Per cui, a questo proposito, mi limiterò a consigliarvi di leggere il suo articolo, se ancora non lo avete fatto.
Per quanto riguarda le elezioni, la cosa è apparentemente più complicata. Uno degli anacronismi della nostra epoca è che la politica ancora va a un ritmo scandito ogni certo numero di anni dalle elezioni, mentre la vita, tutta, va a un ritmo scandito dai minuti. Lo scarto è terribile. La democrazia rappresentativa non ha trovato il modo, o non vuole trovarlo, di trasformarsi in un flusso continuo, in una democrazia permanente, che cambi al ritmo in cui cambiano quasi tutte le cose della vita. No. La democrazia formale continua a essere ingessata, affannandosi a fare la foto del paese che abbiamo in un minuto determinato, di un determinato giorno, quello delle elezioni. Sapendo che per sfortuna puoi perdere due seggi o per un colpo di fortuna conquistarli. Poi solamente occorrerà resistere il resto del tempo, senza conoscere né voler conoscere quale sia la realtà.
Per questo i politici si angosciano tanto all’arrivo delle elezioni. Tutto il lavoro di anni finisce per dipendere dalla immagine che riesci a trasmettere durante la campagna elettorale. E da piccoli dettagli che fanno sì che le cose cambino senza che tu possa controllarlo.
Però nell’articolo che pubblichiamo oggi vi spieghiamo che in realtà le elezioni non sono tanto mutevoli come sembra. Alla Catalogna sono attribuiti 48 seggi in Parlamento per le elezioni spagnole e, a dir tanto, se ne muovono una dozzina. Per la Comunità valenciana ce ne sono 32, forse 6 in gioco. E, nelle Isole Baleari, con 8 seggi praticamente non si può muovere nulla. Ora, questa ventina di seggi che si muovono in totale nei Paesi Catalani farà la differenza a livello di propaganda: tra dimostrare per quattro anni (quattro in teoria…) che il tuo partito è il più importante o dover lottare per far vedere che quel che è successo  non è affatto un fallimento. A questo proposito, tra quelli consigliati, non vi fate sfuggire  l’articolo di Marta Rojals, che ci regala il suo acuto punto di vista nella rubrica del martedì (Vilaweb, quotidiano online, ndt): ‘Vox non mi minaccia più di quanto non mi abbia già minacciato il tripartito  “democratico” del 155.’
Tornando all’editoriale: questo significa che in realtà non si muove nulla? Niente affatto. L’opinione pubblica è un oceano con correnti profonde e correnti superficiali. Quelle superficiali fanno molto rumore e sono ben visibili, ma alla fin fine sono quelle profonde a regolare davvero il sistema. Le correnti superficiali sono più facili da modellare e, per esempio, se hai alle spalle uno stato con tutta la capacità che questo implica, puoi dare l’impressione che qualcosa sia come tu dici che è.  Sotto la superficie, però, la corrente profonda segna in modo significativo e questo già non è tanto facile da modificare.
Domenica, per esempio, quarantuno senatori francesi hanno sottoscritto un appello, impeccabile, a supporto della Catalogna, della Catalogna del sud. Questa. Chiedono al loro governo e all’Unione europea di fermare l’agitazione che la Spagna sta causando con la violazione dei diritti civili e di lavorare per una soluzione negoziata alla crisi. E lo fanno con  precisione, sapendo quel che dicono e come lo dicono. Quarantuno senatori, di tutti i partiti rappresentati alla camera e di tutto l’Esagono.
La reazione dei fautori del nazionalismo spagnolo (favorevole alla uniformità politica in seno allo stato) è stata a tutta prima di farsene beffa. Atteggiamento tipico per loro. Poi di chiedere quanti senatori non avessero sottoscritto il manifesto o di qualificarli come estremisti. Insomma di sminuire la portata dell’iniziativa. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Però, qualche ora più tardi, il governo spagnolo, visibilmente allarmato, ha richiesto una rettifica al Ministro degli Affari esteri francese, sottovalutando come sempre la separazione dei poteri, e l’’illustre’ Borrell ha organizzato una nuova polemica diplomatica – non lo potremo mai  ringraziare abbastanza per il servizio reso alla causa (catalana, ndt).
Con l’una e l’altra cosa, e con il supporto entusiasta di Manuel Valls, la Spagna ha provato a smuovere le acque in superficie per parare il colpo e far vedere, al suo mercato interno, che controlla la situazione. Questo, però, non altera la corrente in profondità e il cambiamento di atteggiamento della classe politica francese, come tante altre cose che succedono, se visto dalla prospettiva di solo qualche mese prima, è impressionante.
Perché veniamo da un periodo in cui la Spagna era solamente uno stato membro dell’Unione Europea e ciò faceva sì che tutti la considerassero un paese standard     del gruppo, uno dei tanti. Però il primo di ottobre ci hanno aggredito con immagini che hanno fatto il giro del mondo destando sorpresa. Hanno mandato   in prigione e in esilio il governo del paese e il suo presidente. Hanno negato la politica (per risolvere il conflitto, ndt) nell’Europa del secolo XX. Hanno parlato e parlano ancora di proibire. Disprezzano la giustizia europea che in quattro giurisdizioni differenti li ha smascherati. Reagiscono  rumorosamente e senza remore ogni qualvolta qualcuno glielo fa notare. Esercitano pressioni su chiunque con minacce indegne di un paese partner. E abituati  – perché questo è stata la transizione – a giocare al limite delle acque di superficie e niente più, non si rendono conto di come cambi la percezione che l’Europa ha del nostro caso, né di quel che facciamo né, soprattutto, di come lo facciamo. Né di come la visione idilliaca che gli europei avevano della Spagna venga distrutta – se già non lo è stata – da loro stessi.
Nell’ottobre del 2017 non c’era nessun senatore francese, nemmeno uno, che dubitasse che la Spagna fosse una democrazia. Adesso, quarantuno di loro appongono una firma, ben sapendo che ciò complicherà loro le cose, come si è visto immediatamente, però incapaci di resistere più oltre in silenzio.  Un anno e mezzo di strenua resistenza di questo paese non è passato inosservato. Cosa, e con ciò concludo, che mi sembra che dovrebbe placare e far riflettere anche i nostri politici, ossessionati al momento dal pensiero di vedere chi ottiene un seggio in più o in meno. Rendendosi meschini.
traduzione  Raffaella Paolessi
https://www.vilaweb.cat/noticies/senadors-francesos-editorial-vicent-partal/
 

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