Perchè in Catalogna non è finita

A un anno dalle violenze della Guardia Civil su chi voleva determinare il proprio futuro con il voto, la situazione è in stallo. Il fronte indipendentista è frustrato e diviso, ma la determinazione dei catalani è fortissima. E la speranza è che la nuova Europa che si profila dopo le elezioni di maggio non sia sorda e cieca come l’attuale…
di Carlo Lottieri
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Che bilancio si può trarre, a oltre un anno di distanza dalle violenze della Guardia Civil su quanti si erano recati a votare al referendum sull’indipendenza, sul processo politico volto a realizzare la secessione della Catalogna? A una simile domanda non è facile rispondere.
All’interno del fronte dei separatisti è ormai forte la frustrazione. È vero che, al termine della sospensione dell’autogoverno catalano, i fautori di una repubblica indipendente sono riusciti a confermare la maggioranza alla Generalitat, mettendo un uomo molto vicino a Carles Puigdemont (Quim Torra) alla testa del governo. Ed è anche vero che il governo minoritario espresso dal Partido Popular è stato fatto cadere, così che oggi alla guida dell’esecutivo di Madrid c’è il socialista Pedro Sanchez. E al tempo stesso la sinistra spagnola non sta dimostrandosi più aperta della destra, così che quanti a Barcellona si battono per ottenere l’indipendenza non riescono, in questa situazione, a fare un solo passo avanti. La stessa Generalitat appare quasi incapace di agire e assumere decisioni. In questo quadro è comprensibile che, a più riprese, il fronte dei separatisti mostri qualche incrinatura, e si tratta di frizioni che poco hanno a che fare con la contrapposizione, che pure esiste, tra chi si colloca a sinistra e chi no. Se gli indipendentisti catalani non sempre riescono ad agire in maniera compatta è perché alcuni – soprattutto nell’Erc (Esquerra Republicana de Catalunya) – pensano che si debba seguire un percorso lungo e volto ad allargare l’area del consenso, mentre altri rivendicano il diritto fondamentale a decidere sul futuro e per questo considerano la dichiarazione unilaterale d’indipendenza dello scorso ottobre come una scelta senza ritorno.
Per giunta, non si sa che ne sarà dei prigionieri politici. Ma se questo causa pena e frustrazione nel campo degli indipendentisti, è del tutto evidente che la scelta di avere cacciato in galera i propri oppositori politici pone ora i nazionalisti spagnoli in una situazione quasi senza uscita. Da un lato sarà per loro complicato tenerli in prigione, dato che non hanno compiuto violenze e sono accusati soltanto di avere perseguito con metodi democratici ed elettorali la libertà delle loro comunità. Più essi restano in prigione e più la Spagna mostra al mondo il suo vero volto: quello di un sistema oppressivo, incapace di mettere in discussione i propri confini e di accettare che le aspirazioni dei suoi sudditi si possano realizzare. D’altro lato, qualora Oriol Junqueras e gli altri incarcerati dovessero essere assolti e liberati sarebbe l’intera repressione operata spagnola a danno degli esponenti politici e culturali dell’indipendentismo a uscire sconfitta. L’ordinamento spagnolo ammetterebbe l’illegittimità di ogni reato di opinione e delle violenze compiute a danno di chi si batte – entro logiche rispettose degli altri – per vedere affermati i suoi sogni. Se i cittadini indipendentisti fossero riconosciuti innocenti, ne conseguirebbe che quanti hanno gestito la repressione (giudici o politici, militari o funzionari pubblici) si troverebbero a vestire i panni dei criminali.
Se Barcellona piange, dunque, Madrid non ride di certo. Gli ottusi difensori della mitologia politica spagnola, anche contro le legittime aspirazioni delle realtà desiderose di affrancarsi, sanno bene quanto il loro sovranismo sia in contraddizione con ogni valore di libertà, democrazia, dialogo. Non è un caso che vi siano ormai forze che si collocano perfino più a destra di Ciutadanos e del Partito Popular (il movimento Vox, in particolare), che appaiono sempre più attive sulla scena pubblica e che contribuiscono a far comprendere a molti quanto sia autoritaria la logica che ispira i carcerieri dei presos politics. La Catalogna è dunque in uno stallo e nessuno può dire cosa succederà nei mesi e negli anni a venire. L’indipendenza sembra un miraggio ancora lontano e al tempo stesso la determinazione dei catalani è tale che è davvero illusorio, a Madrid, pensare di poter far rientrare la crisi come se nulla fosse successo. C’è anche da domandarsi, nella nuova Europa che si va profilando, se la repressione spagnola troverà a Bruxelles tutto il sostegno che ha avuto finora, oppure se la tempesta elettorale che si va profilando, a danno delle forze tradizionali, muterà lo scenario anche per quello che riguarda il conflitto tra Spagna e Catalogna. La scommessa dei catalani, in larga misura, poggiava sulla speranza che l’opinione pubblica internazionale e la stessa Ue potessero spingere Madrid a prendere in considerazione la loro richiesta di poter votare. Finora quella scommessa è stata perduta, ma non è escluso che le cose possano cambiare. È però difficile prevedere quali potrebbero essere le reazioni della Spagna profonda (nutrita di nazionalismo e spirito autoritario) nel caso in cui i catalani dovessero poter procedere sulla strada della propria indipendenza.
 
http://www.lintraprendente.it/2018/10/perche-in-catalogna-non-e-finita/?fbclid=IwAR3ERzvG5rt9TTrmsTLkZL-qZHgvHhcl9soPgv1LHCdvY7SvMccstv66KLk
 

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