Catalogna, torna alta la tensione

 Puigdemont è ricercato in Finlandia
 
di Paola Del Vecchio    Il Mattino    24.03.20183627214_1639_puigdemont
Un appello a formare «un fronte unitario in difesa della democrazia», per reclamare «la libertà dei prigionieri politici». È quello fatto oggi dal presidente del Parlamento catalano, Roger Torrent, dopo aver annullato il secondo turno previsto per l’elezione del presidente della Generalitat, a seguito dell’arresto ieri a Madrid del candidato Jordi Turull. Dei tre presidenziabili designati dalla maggioranza indipendentista, due sono in carcere – con Turull, l’ex leader dell’Acn Jordi Sanchez, in prigione preventiva da quattro mesi – e il terzo, l’ex presidente esiliato in Belgio, Carles Puigdemont, è stato raggiunto da un ordine internazionale di arresto a Helsinki, dove si trova da due giorni per partecipare a una conferenza. Aveva previsto di rientrare a Waterloo, ma rischia l’arresto nell’ultima escalation di azioni legali contro i politici separatisti della regione. La polizia finlandese ha confermato di aver ricevuto ieri sera l’ordine di detenzione europeo emesso dalla Spagna per i reati di ribellione e sedizione e l’organizzazione del referendum illegale secessionista dello scorso 1 ottobre. E di aver attivato «un processo normale» per localizzarlo. Mentre, con la Procura, starebbe valutando tutta la documentazione inviata dalle autorità spagnole, secondo quanto ha chiarito il portavoce dell’Ufficio Nazionale di Investigazione, Hannu Kautto. Ma il tempo necessario per tradurre il fascicolo, scritto in parte in spagnolo, potrebbe aprire una finestra a Puigdemont consentendogli di prendere l’aereo verso il Belgio. Di prima mattina, il suo difensore, Jaume Alonso Cuelillas, aveva assicurato che l’ex president ha intenzione di presentarsi alla polizia finlandese.
Tredici rinvii a giudizio per ribellione – con condanne fino a 30 anni di carcere – e altri dodici per malversazione di fondi e reati minori sono stati firmati ieri dal gip del Tribunale Supremo Pablo Llarena contro i dirigenti indipendentisti catalani, che organizzarono il referendum indipendentista del 1 ottobre, paragonato dal  magistrato al ‘levantamiento’ del tentato golpe del 23 ottobre 1981 nel Parlamento spagnolo. Llarena ha disposto anche l’arresto per cinque leader che erano stati rilasciati in libertà provvisoria: Jordi Turull, che giovedì, in prima votazione nella Camera catalana, non aveva ottenuto la maggioranza sufficiente all’elezione alla presidenza della Generalitat; Carme Forcadell, Raul Romeva, Josep Rull e Dolors Bassa. Fra i rinviati a giudizio, anche la segretaria generale di Esquerra Repubblicana, Marta Rovira, che si è rifugiata in esilio in Svizzera, dove si è autoesiliata anche la leader della Cup, Anna Gariel. Per loro sarà più difficile l’estradizione, poiché in Svizzera sono considerati reati politici solo i crimini di lesa umanità, il genocidio, i crimini di guerra e reati particolarmente gravi come il sequestro di un aereo o la presa di ostaggi.
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Nel sospendere oggi la seduta di investitura del candidato Jordi Turull, per non violare le norme statutarie e costituzionali, il presidente della Camera catalana Torrent ha riunito deputati, ex deputati e membri della società civile nell’auditorium,  dove ha letto una dichiarazione istituzionale per formare «un fronte comune in difesa della democrazia e dei diritti fondamentali». Un manifesto sottoscritto anche dai deputati di Catalunya En Comú, il Podemos catalano. «Lo Stato sta impedendo che si rifletta la sovranità espressa liberamente nelle urne», alle elezioni del 21 dicembre scorso nella regione commissariata, ha detto Torrent. «Non è uno scontro di bandiere. Esorto tutti i democratici di Spagna e del mondo a essere solidali con noi. La risposta oggi più che mai deve essere civica, pacifica, democratica e di massa. Mettiamo al centro la politica», ha incalzato il presidente della Camera catalana. «Dobbiamo fare fronte unico, trasversale, in difesa del pluralismo, per ottenere la libertà delle persone perseguitate. Il loro arresto è ingiusto, innecessario, proprio di un regime antidemocratico», ha aggiunto.
Il dibattito che ne è seguito, con un turno di 15 minuti per intervento, si è trasformato in atto d’accusa contro le istituzioni dello Stato, che ha indignato sia il partito unionista Ciudadanos che il Partido Popular. I deputati del Pp hanno abbandonato l’aula in segno di protesta, mentre la leader di Ciudadanos, Ines Arrimadas, ha dato per morto il proces indipendentista: «Signori e signore, pensavate di scontrarvi con Rajoy, ma vi scontravate con una democrazia europea del XXI secolo. Né voi soli siete la Catalogna, né Rajoy è la Spagna», ha affermato la Arrimadas, senza fare riferimento ai cinque dirigenti indipendentisti arrestati, ma solo a quello in esilio accusati di fuggire, mentre i lavoratori autonomi pagano le tasse. Da parte sua, il leader socialista Miquel Iceta, che ha sostenuto il commissariamento della regione, ha fatto appello a ricostruire ponti fra l blocco indipendentista e quello unionista, per «costruire maggioranza molto ampie» che consentano di superare la grave crisi territoriale, politica e istituzionale e restaurare l’autonomia nella regione.
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La mano pesante della giustizia non aiuta infatti a uscire dal vicolo cieco del muro contro muro. Mentre, con la mancata investitura e l’avvio dell’orologio parlamentare, nell’impossibilità di eleggere un presidente della Generalitat, si materializza un ritorno alle urne nel giro di due mesi. Gli editoriali della stampa catalana criticano la controversa ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Llarena, che – come sottolinea Eric Juliana, direttore aggiunto de La Vanguardia – si è convertito nel grande regista della politica catalana, in assenza di un’iniziativa politica del governo centrale. The Guardian è arrivato a definirla come «una versione della grande inquisizione del XXI secolo». Alcuni noti giuristi considerano eccessiva l’accusa di ribellione – che comporta l’uso della violenza e prevede una pena di 30 anni di carcere – e controversa l’applicazione dell’articolo 384 bis del codice penale, che decreta la carcerazione preventiva «per reato commesso da persona integrata o collegata con banda armata o individui terroristi o ribelli, che ostenti una funzione o incarico pubblico e che resterà automaticamente sospeso dall’esercizio dello stesso mentre resta in carcere». Intanto, sono 33 i feriti negli scontri fra le forze di polizia e i manifestanti che venerdì sera hanno protestato a Barcellona contro la scure giudiziaria che si è nuovamente abbattuta sui dirigenti indipendentisti.
 
 
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