“Volete che la Catalogna sia uno Stato indipendente in forma di repubblica?”

Abbiamo intervistato Joan Elies Adell Pitarch (nella foto), Direttore dell’Ufficio di Alghero della Delegazione del Governo Catalano in Italia sul Referendum per l’Indipendenza annunciato dal capo del governo catalano Carles Puigdemont. 

pubblicato sul blog Pesa Sardigna il 15.06.2017
Joan Elies Adell Pitarch
 

  1. Il presidente catalano Puigdemont ha dichiarato che ad ottobre si terrà il referendum per l’indipendenza della Catalogna. Come si è arrivati a questa storica decisione.   

Efettivamente, venerdì passato [9 giugno 2017, ndt] il Presidente del Governo Catalano ha comunicato il quesito e la data del Referendum per l’independenza della Catalogna dallo Stato Spagnolo, che sarà: “Volete che la Catalogna sia uno Stato indipendente in forma di repubblica?” e che si terrà il prossimo 1° di ottobre 2017.
Come ci siamo arrivati? Evidentemente la Catalogna ha sempre voluto sentirsi a proprio agio, lungo la Storia, all’interno dello Stato Spagnolo, in modo che si riconoscesse la nostra identità storica, linguistica e culturale. Però questo non è mai stato possibile. Dal 1714, quando la Catalogna ha perso la sua sovranità politica, è stato molto difficile incastrare la nazione catalana all’interno della Spagna. Dobbiamo ricordare, per esempio, che un grande poeta catalano come fu Joan Maragall, scrisse nell’anno 1898 un poema intitolato “Oda a Espanya” in cui già si alludeva alla insensibilità della Spagna centralista rispetto alle diverse nazionalità presenti nello Stato spagnolo e le sue lingue:
Escolta, Espanya -la veu d’un fill
que parla en llengua – no castellana:
parlo en la llengua – que m’ha donat
la terra aspra.
En aquesta llengua – pocs t’han parlat;
en altra, massa.
E finisce domandandosi :

On ets, Espanya? – No et veig enlloc.
No sents la meva veu atronadora?
No entens aquesta llengua – que et parla entre perills?
Has desaprès d’entendre an els teus fills?
Adéu, Espanya!
Più di un secolo dopo, noi catalani abbiamo la sensazione che la Spagna continui a non volerci ascoltare. Senza sentire la nostra voce né sapere cosa ne pensiamo né come ci sentiamo. E il divieto a fare il referendum per l’autodeterminazione della Catalogna è un buon esempio. Sembra che il Governo spagnolo preferisca ignorare cosa pensa la cittadinanza catalana sopra la relazione politica fra Catalogna e Spagna. Cosa che mi sembra preocupante.
Nella storia recente, il movimento si attiva quando nel 2010 una sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo contro lo Statuto d’Autonomia della Catalogna del 2005, a causa di un ricorso del Partido Popular, pone le condizioni per un momento chiave senza precedenti e determina un punto di non ritorno nella nostra relazione con lo Stato spagnolo. È triste, e non sarebbe mai dovuto succedere. Lo Statuto fu elaborato e votato dal Parlamento catalano, dopo essere stato ritoccato e molto ridotto nel Congresso dei Deputati spagnolo (fatto che ci dispiacque profondamente in Catalogna) e dopo ratificato in un referendum dal popolo catalano, malgrado che per molti di noi fosse il male minore. Così come già era successo in passato, uno Statuto d’Autonomia approvato dal popolo di Catalogna viene decurtato da Madrid, attraverso un Tribunale molto politicizzato e controllato dal Governo spagnolo. Questa sentenza ha tolto la parola ai cittadini della Catalogna, e fece intendere ai catalani che l’unica maniera di essere una nazione è avere un proprio Stato, perché dentro lo Stato spagnolo ci siamo accorti che non è possibile.

  1. Lo stato spagnolo è arroccato sul principio che il referendum sull’indipendenza non si può fare perché non previsto dalla Costituzione. Cosa accadrà?

Questo non è proprio così. Il Governo spagnolo usa la Costituzione spagnola come una scusa per evitare di conoscere l’opinione dei catalani sopra la loro relazione politica con lo stato spagnolo. Recentemente più di 600 giuristi catalani hanno firmato un manifesto che sostiene che nel solco costituzionale vigente e “nel solco del principio democratico”, è legittima la possibilità che la cittadinanza “proponga alternative espresse attraverso un processo democratico”, come è il referendum sull’independenza della Catalogna e che l’applicazione del suo risultato si possa negoziare coi rappresentanti dello Stato. Ciò che ci vuole è la volontà politica, però lo Stato spagnolo non ha la volontà politica di sapere cosa ne pensano i cittadini catalani, probabilmente perché teme la loro la risposta. Forse si dovrebbe chiedere perché la stragrande maggioranza dei catalani non si sente a suo agio dentro la Spagna, e invece di sedurci, di convincerci a rimanere, che è bene continuare dentro la Spagna, non smette di dirci che non possiamo chiederlo, che la legge non lo permette, che è illegale sapere cosa opina il popolo di Catalogna. Questo è profondamente antidemocratico, giacché noi catalani pensiamo che la democrazia deve stare sopra la legalità, e lo Stato di diritto ha gli strumenti sufficienti per dimostrare la legalità del referendum convocato dal presidente Puigdemont e che è avallato dalla maggioranza assoluta del parlamento della Catalogna.

  1. Neppure la Costituzione italiana prevede il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Però il diritto internazionale prevede l’esercizio di tale diritto. Come è possibile risolvere questo nodo di alcune costituzioni che non garantiscono un esercizio democratico fondamentale ai propri cittadini?

Come ho già detto, se c’è volontà politica, perfino nelle costituzioni che non prevedono in maniera esplicita il diritto all’autodeterminazione dei popoli, si può arrivare a un accordo, come dimostra il caso del Quebec. Nelle costituzioni statali c’è una contraddizione palese rispetto della pratica politica degli Stati: non si riconosce il diritto all’autodeterminazione dentro il proprio Stato però lo si riconosce fuori. Questa è una pratica politica abituale. Il Congresso spagnolo, ad esempio, nel 2014 riconobbe lo Stato della Palestina. Riconosceva, quindi, in forma implicita il diritto  dell’autodeterminazione nello stesso tempo in cui negava il diritto all’autodeterminazione nei casi interni. In forma indiretta il diritto all’autodeterminazione lo riconoscono tutti gli Stati che incorporano nella legislazione il rispetto delle norme del diritto internazionale —ossia l’immensa maggioranza. In forma diretta, riconoscere il diritto di autodeterminazione alle minoranze interne di uno Stato è una pratica solita per ragioni ovvie, però molti Stati, quando devono spiegare perché sono indipendenti, basano la loro esistenza nell’invocazione legale del diritto di autodeterminazione stesso. Ci sono svariati Stati che riconoscono il diritto all’auto determinazione in forma esplicita nelle leggi nonostante che non lo facciano per Costituzione, come ad esempio: il Canada (che riconosce il diritto del Quebec), Danimarca (che lo riconosce per le isole Fær Øer e Groenlandia), la stessa Italia (che se non mi sbaglio riconosce all’Austria un ruolo di tutela rispetto al Sud Tirolo), Finlandia (che lo riconosce per le isole Aland) il Regno Unito (che lo riconosce a molti territori uniti dalla corona), Svizzera (che riconosce il diritto dei cantoni) o gli Stati Uniti (che hanno riconosciuto in alcune sentenze il diritto alla secessione). Pertanto siamo convinti che la comunità internazionale, se vince il sì nel nostro referendum per l’autodeterminazione, finirà per riconoscere l’indipendenza della Catalogna, giacché il diritto all’autodeterminazione dei popoli si considera giuridicamente come una norma imperativa, proprio come è stato ribadito in alcune sentenze della Corte Internazionale di Giustizia e così come è rispecchiato nella carta delle Nazioni Unite.
traduzione dal catalano  di  Carlo Manca


Intervista originale in lingua catalana

  1.  Efectivament, el passat divendres el President del Govern de Catalunya va comunicar la pregunta i la data del Referèndum per la independència de Catalunya de l’Estat Espanyol, que serà: “Voleu que Catalunya sigui un Estat independent en forma de república?” (“Volete che la Catalogna sia uno Stato indipendente in forma di repubblica?”) i que se celebrarà el proper 1 d’octubre.

Com hem arribat fins aquí? Evidentment Catalunya sempre ha volgut sentir-se còmoda, al llarg de la història, a l’intern de l’Estat Espanyol, de manera que es reconegués la nostra identitat històrica,lingüística i cultural. Però això mai no ha estat possible. Des de 1714, quan Catalunya va perdre la seva sobirania política, ha estat molt difícil l’encaix de la nació catalana a l’interior de l’Espanya. Hem de recordar, per exemple, que un gran poeta català com va ser Joan Maragall, va escriure l’any 1898 un poema titulat “Oda Espanya” en què ja es feia al·lusió a la insensibilitat de l’Espanya centralista respecte a les diferents nacionalitats presents a l’Estat Espanyol i les seves llengües:
Escolta, Espanya -la veu d’un fill
que parla en llengua – no castellana:
parlo en la llengua – que m’ha donat
la terra aspra.
En aquesta llengua – pocs t’han parlat;
en altra, massa.
I acaba preguntant-se per què aquella Espanya centralista prefereix no escoltar la veu d’un dels seus pobles, com és el català, perquè margina i desantèn a un dels seus fills, com és Catalunya:
On ets, Espanya? – No et veig enlloc.
No sents la meva veu atronadora?
No entens aquesta llengua – que et parla entre perills?
Has desaprès d’entendre an els teus fills?
Adéu, Espanya!
Més d’un segle després, els catalans tenim la sensació que Espanya segueix sense voler-nos escoltar. Sense sentir la nostra veu i saber què en pensem i com ens sentim. I la negativa a fer el referèndum d’autodeterminació de Catalunya és un bon exemple. Sembla que el Govern espanyol no prefereixi ignorar què pensa la ciutadania de Catalunya sobre la relació política entre Catalunya i Espanya. Cosa que em sembla preocupant.
En la història recent, el moviment s’activa quan l’any 2010, una sentència del Tribunal Constitucional espanyol contra l’Estatut d’Autonomia de Catalunya de 2005, arran d’un recurs del Partido Popular, suposa una inflexió sense precedents i determina un punt de no retorn en la nostra relació amb l’Estat Espanyol. És trist, i mai no hagués hagut de succeir. L’Estatut fou elaborat i votat pel Parlament de Catalunya, després retocat i força rebaixat en el Congrés de Diputats Espanyol (fet que ens va doldre profundament a Catalunya) i després ratificat en referèndum pel poble de Catalunya, malgrat que per a molts de nosaltres era un mal menor. Així, com ja havia succeït en el passat, un Estatut d’Autonomia aprovat pel poble de Catalunya és retallat per Madrid, a través d’un Tribunal molt polititzat i controlat pel Govern espanyol.  Aquesta sentència va treure la paraula al ciutadans de Catalunya, i ens va fer entendre als catalans que l’única manera de ser una nació és tenir un estat propi, perquè dintre de l’Estat Espanyol ens hem adonat que no és possible.

  1. Això no és ben bé així. El Govern espanyol utilitza la Constitució Espanyola com una excusa per evitar conèixer l’opinió dels catalans sobre la seva relació política amb l’estat espanyol. Recentment més de 600 juristes catalans han signat un manifest que defensa que en el marc constitucional vigent i “en el marc del principi democràtic”, hi cap la possibilitat que la ciutadania “proposi alternatives expressades a través d’un procés democràtic”, com és el referèndum sobre la independència de Catalunya i que l’aplicació del seu resultat es pugui negociar amb els representants de l’estat. Allò que cal és voluntat política, però l’Estat Espanyol no té la voluntat política de saber què en pensen els ciutadans de Catalunya, possiblement perquè no li agrada la resposta. Potser s’hauria de preguntar perquè una gran majoria de catalans no se senten còmodes dintre d’Espanya, i en lloc de seduir-nos, de convencer-nos a quedar-no, que és bo continuar dintre d’Espanya, no deixa de dir-nos que no ens podem preguntar això, que la llei no ho permet, que és il·legal saaber què opina el poble de Catalunya. Això és profundament antidemocràtic, ja que els catalans pensem que la democràcia ha d’estar per sobre de la legalitat, i l’estat de dret té instruments suficients per demostrar la legalitat del referendum convocat pel president Puigdemont i que és avalat per la majoria absoluta del Parlament de Catalunya.

3. Com t’he dit, si hi ha voluntat política, fins i tot en les constitucions que no preveuen de manera explícita el dret d’autodeterminació dels pobles, es pot arribar a un acord, com demostra el cas del Quebec.  A les constitucions estatals hi ha una contradicció flagrant respecte de la pràctica política dels estats: no es reconeix el dret d’autodeterminació dins el propi estat però sí que es reconeix fora. Aquesta és una pràctica política habitual. El congrés espanyol, per exemple, el 2014 va reconèixer l’estat de Palestina. Reconeixia, per tant, de forma implícita el dret de l’autodeterminació al mateix temps que negava el dret d’autodeterminació per als casos interns. De forma indirecta el dret d’autodeterminació el reconeixen tots els estats que incorporen a la legislació el respecte de les normes del dret internacional —o sigui la immensa majoria. De forma directa, reconèixer el dret d’autodeterminació a les minories internes d’un estat no és una pràctica habitual per raons òbvies, però molts estats a l’hora d’explicar perquè són independents basen la seva existència en la invocació legal al dret d’autodeterminació mateix. Hi ha més estats que reconeixen el dret d’autodeterminació de forma explícita a les lleis encara que no ho facin a la constitució, com ara: el Canadà (que reconeix el dret del Quebec), Dinamarca (que el reconeix per a les illes Fèroe i Grenlàndia), la mateixa Itàlia (que si no estic equivocat reconeix a Àustria un paper de tutela respecte del Tirol del Sud), Finlàndia (que el reconeix per a les illes Aland), el Regne Unit (que reconeix el dret d’autodeterminació a molts dels territoris units per la corona), Suïssa (que reconeix el dret d’autodeterminació dels cantons) o els Estats Units (que ha reconegut en unes quantes sentències el dret de secessió). Per tant, estem convençuts que la comunitat internacional, i guanya el Sí en el nostre referèndum d’autodeterminació, acabarà reconeixent la independència de Catalunya, ja que El dret d’autodeterminació dels pobles es considera jurídicament una norma imperativa, tal com ha estat remarcat a unes quantes sentències de la Cort Internacional de Justícia i tal com és reflectit a la carta de les Nacions Unides.
 
 

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